Fabio Palma

Infinite jest

UNA STORIA

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Non riesco a tenerla dentro, questa storia.
Dissi, se volete che continui ad andare bene a scuola, dovete lasciarmi andare.
E a quel punto mio padre capì che non ci sarebbe stato verso, nè cinturate nè chiusure in bagno sarebbero bastate. Com’è che si dice? Risoluto. Ero risoluto, ecco.
Era il 22 Agosto, e ve lo posso dire perchè di questa storia mi ricordo date, orari, telefoni, momenti. Tutto. Ognuno ha una storia di cui si ricorda tutto. Questa è la mia.
Si camminava di sera per Montepaone Lido, che allora era un niente, si era in meno di dieci, ovvero tutta la gioventù Under 17 di quel luogo. Amici di vacanza, io ero l’unico del Nord. Una ragazza, mentre cammino, si affianca e mi abbraccia. Cammino per qualche metro che ho il cuore nella via lattea. Non mi era mai successo (e per dir la verità praticamente non mi sarebbe mai più successo), ma non era solo quello. Aveva gli occhi verdi come il mare quando c’è quella profondità che hanno solo certe baie, aveva i lineamenti dolci e stupendi come avresti voluto che fossero intorno a quegli occhi, e la voce era semplicemente arte.
Furono pochi secondi, quell’abbraccio, poi nient’altro. Andai a trovarla ogni giorno, e poi ci si vedeva con gli amici. Niente di niente, non ci fu niente di niente. Era normale, per lei, abbracciare le persone in maniera dolce e gentile. Gentile, ecco. Lei era soprattutto questo. Anzi, no. Era Buona.
Io invece tornai a casa e dopo qualche settimane cominciai il braccio di ferro con i miei. Ero all’inizio della terza liceo…vado in Calabria per 4 giorni, c’è il suo compleanno. La situazione era che non c’era niente di niente, ma io volevo andare a trovarla per il Compleanno. Mai mosso da casa, 18 ore di treno almeno e poi chissà, ma ero irremovibile. I miei capirono che la cosa era seria quando arrivò la prima bolletta telefonica Sip post Agosto, era sopra le 100000 lire e vi assicuro che era un’enormità. Mio padre telefonò alla Sip, e quelli risposero, Sig. Palma, qui c’è un botto di telefonate verso la calabria. E dissero la cittadina. Stavamo al telefono anche due ore, ovviamente quando i miei erano fuori, e si parlava di niente.
E la sera io dissi le cose come stavano. Ero assolutamente innamorato e nulla più mi sarebbe importato se non l’avessi rivista entro due mesi. E lei? Lei no, solo amica, risposi. Ma lo dissi in maniera così ferma, nonostante fossi un 15enne capellone, che ogni discussione sui paradossi conseguenti fu spenta sul nascere. Anche perchè ero decisamente bravo, nell’esporre concetti e situazioni e pensieri, l’Italiano era la mia materia, e se è vero che la scuola deve preparare al mondo, beh, era già il momento di verificarlo.
Ci andai, col compromesso della presenza di mio nonno, che nel viaggio circuii da par mio spedendolo, una volta là, a vedere praticamente tutta la Calabria, dai bronzi di Riace a Tropea. Convincendolo a non dire niente ai miei. Senza quei rompicoglioni dei telefonini, allora potevi costruire alibi e contesti. Il nonno? E’ fuori, a fare una passeggiata. Il nonno? e’ in bagno, mamma devo andare a cena dai suoi. Il nonno? E’ giù nella hall. Beh, 4 giorni, e il nonno intorno non lo ebbi mai. Sì, avevo 15 anni, ma gli adulti me li impacchettavo come e quando volevo, d’altronde ora lo so, che non è assolutamente questione di età.
Io ero in un albergo, peraltro trovato da me via Sip e pagine gialle, e la vidi solo poche ore in 4 giorni. Genitori calabresi stupitissi e gentili quanto lei, mi invitarono a due cene e furono carinissimi, capirono, semplicemente, che avevo perso la testa, e sapevano che con la loro figlia era possibile. Era semplicemente perfetta.
Non ci fu mai nulla di nulla, e le rispettive vite andarono per conto loro. Scoprii un modo per telefonare gratis dalle cabine telefoniche, durò anni e così potevo telefonare per ore gratis. Un baco software…l’ultima lunghissima telefonata la feci dal laboratorio del Politecnico, ero in una stanza buissima per un esperimento, si stava lì 12 ore senza vedere luce, le dissi della mia vita da studente che si stava laureando, del fatto che avevo scoperto di non essere così bravo come si pensava, che non ero certo di cosa fare (vedi post di ieri). Mi disse, Fabio, tu con la tua tenacia farai sempre una vita giusta e con le cose che ti daranno gioia. Non costringerti mai. Ma con te la tenacia mica funzionò, le risposi ridendo. E lei rise e disse cose belle, e ridemmo entrambi.
Poi cominciai a telefonarle ogni due o tre anni, poi ogni cinque. Lei mi disse della famiglia, e poi un giorno della malattia.
L’ultima telefonata un anno fa. La malattia micidiale, la peggiore. Ti lascia in vita con un dolore continuo. Me la passò la madre, mi disse, Fabio, soffre tanto, sai. Ma al telefono lei era dolcissima, sono diventata tanto grassa, sai? venti kg in più. Mi parlò della sua famiglia, Signori, era un Angelo che parlava. Non trovai una parola giusta, una cazzo di parola giusta, per dirle forza. Addirittura, quando le raccontai dell’ennesimo cambiamento della mia vita, mi disse, ma tu Fabio non ti devi preoccupare, hai la forza che ti può portare ovunque, ce la farai sempre. Lei diceva così a me!!!!!!!!! Le dissi, ma me l’hai detto 20 anni fa. E dal telefono tracimò un sorriso, molto stanco ma sorriso era, che quasi sospirò, ma l’ho pensato anche dieci anni prima, quando sei capitato qui.
Da cinque mesi volevo telefonarle, ma avevo una paura fottuta. Poi ho avuto un presentimento, un’ombra. Sapete, non era su nessun social, niente di niente. Però ho digitato il suo nome, lo stesso. Come altre volte, da quando ci sono i motori di ricerca.
E questa volta il suo nome è uscito.
Niente, ci sono degli angeli, nel mondo, e io ne ho conosciuta una. E fa niente se ho fatto confusione fra maschile e femminile. Lei era un Angelo, e se qualcuno mi dovesse chiedere, di che colore sono gli occhi di un Angelo, e che voce ha, e com’è di viso, e come si comporta, e cosa dice, io prenderei dieci, in quell’interrogazione.
Non è una storia che ha morale.

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