Fabio Palma

Infinite jest

Coelophysis

Coelophysis era un rettile del Triassico, astuto, veloce, da cui poi si evolsero i grandi predatori delle ere successive. Predatori per i quali qualsiasi essere vivente in movimento era una possibile preda. E’ una grande via e siamo certi che molti alpinisti desiderosi di grandi emozioni ne diventeranno preda nei prossimi anni; potrebbe diventare una classica delle alte difficoltà, e insieme una sfida per alpinisti di altissimo livello.

I numeri dicono poco in alpinismo perché troppo relativi al livello di chi li dà, come se fosse una matematica soggettiva. Un audace e ricco di tregenda 6b/A2 è un rilassante 7a per un fuoriclasse, che si vedrà poi magari ridimensionato dalla generazione successiva, a meno che non abbia realmente compiuto qualcosa da valicare i limiti del tempo.

I numeri di Coelophysis sono quindi numeri impressionanti per noi, magari invece normali per altri.  Danno un’idea dell’avventura che abbiamo vissuto, e in particolare della fatica a cui siamo stati sottoposti. In certi momenti, ho davvero temuto di sentire scoppiare il cuore.

21 tiri, 670 metri, difficoltà per ora liberate fino al 7c con due lunghezze da liberare da 8a o qualcosa in più. Probabilmente, la libera di tutti i tiri ci terrà impegnati per molti altri giorni. Largo uso di Friends in parecchi tiri, complessivamente 63 spit più le soste, 7a obbligato un po’ dovunque, qualcosa di più in un tiro. Alcuni spit sono di direzione, per evitare di disperdere il ripetitore in un mare di strapiombante dove sbagliare potrebbe essere rovinoso. Sulla via, chiaramente, non bisogna cadere in molti punti, mentre in altri è solo psicologica. E’ sicuramente più impegnativa delle altre vie del Wenden e del Ratikon che ho salito, a parte “Portami Via” che per la sua pericolosità fa storia a se. Certamente per me è anche molto più impegnativa di “Fram” alla Marmolada, ma a questo punto solo i ripetitori potrebbero dire qualcosa di più.

Cinque giorni di apertura nel 2006, con Adri e Matteo, fino a L7. Poi soltanto io e Matteo nel 2007, essendo Adriano sempre impegnato, con altri dieci giorni di apertura e cinque bivacchi in parete. Tre alla base della via, uno al Trassik Biwac band, l’altro al Magalodon Biwac band. La via si trova nell’immaginifico settore del Mahren, il più selvaggio del Wenden, e offre grandi strapiombi e muri perfetti. I due posti di bivacco potrebbero fare comodo a tutti, persino a fuoriclasse.

Questa Estate è stata veramente inclemente lassù, tranne l’ultimo giorno di apertura, un 16 Settembre con condizioni eccezionali. Abbiamo bivaccato al Magalodon Biwac il sabato sera e alle sette abbiamo cominciato ad aprire, con Matteo che voleva finire con grande forza e io che mi apprestavo alla solita giornata devastante. E, come ha commentato Matteo a fine giornata, “oggi siamo stati cavalli”. La sera prima mi reggevo appena in piedi al termine della risalita sulle fisse, fortunatamente la notte, stellata e calda, mi ha fatto recuperare le forze. Sul penultimo tiro potevo osare di più e sarebbe saltato fuori un 7b o forse più obbligatorio, molto esposto, ma era tardi e sarei probabilmente volato, con conseguenze non chiarissime. Così lì l’obbligato è solo 7a, ma delicato e in traverso. La sosta raggiunta non permette la ritirata, così l’ultimo tiro è necessario e fondamentale, e ancora pretende concentrazione. In cima, un’aquila ci ha salutato da pochi metri, mentre depositavamo il libro firma. Una quota finale superiore ai tremila metri, e non è poi tanto, ma sotto il pilastro di Letzer Mihikaner sembrava ridicolo, per la sua bassa statura. Come cambia la prospettiva delle cose, nel tempo. Si scaldano e si raffreddano, e dipende anche da te, la loro temperatura. Una via come Letzer Mohikaner e un pilastro come quello sono ora cose normali, premio in fondo di due anni di sogni su roccia e merito anche di un compagno come Matteo, la cui forza è disgregante verso dubbi e paure

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