Fabio Palma

Infinite jest

LE GRANDI MENTI PARLANO DI IDEE

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LE GRANDI MENTI PARLANO DI IDEE

LE MENTI MEDIE PARLANO DI FATTI

LE PICCOLE MENTI PARLANO DI PERSONE

Era il Febbraio 1990, si sapeva che mi sarei laureato e al 99% con la Lode, ma intimamente mi sentivo sprovveduto e inadeguato. Incapace.

Da tre mesi ero in sotterraneo del Cesnef, Politecnico, con una finestrella altezza marciapiede completamente schermata dalla luce, che comunque d’Inverno era, lì sotto, poca, fioca, e triste.

Non ricordo NULLA dei dettagli dell’esperimento che dovevo condurre, c’era un rivelatore allo stato solido, Camera a deriva, inventato pochi anni prima (credo un paio), e dovevo verificare una teoria, con degli elettroni sparati che dovevano comportarsi in un certo modo.

Sapevo usare due rack di strumentazione, molto costosa e complessa, ma brancolavo nel buio, reale e metaforico. Gli elettroni venivano sparati in un modo che l’esperimento falliva, giorno dopo giorno. cambiavo delle cose, la velocità, il campo elettrico…niente di niente. Passavano ogni tanto dei dottorandi, cercavano di aiutarmi, ma non se ne veniva a capo. Il bravissimo e simpaticissimo Marco Sampietro, oggi Professore, persona stupenda solare e sempre serena (Quanto mi manca…), era venuto qualche volta ad assistermi, ma anche lui non aveva saputo costruire l’esperimento in maniera diversa. Quello che si pensava dovesse funzionare in qualche settimana, e che fra l’altro avrebbe dovuto essere il Capitolo portante della mia tesi, sembrava campato per aria. Intendiamoci, avevo una media sopra il 28,8, quindi il 100 e Lode lo avrei portato a casa con qualche scritto a caso, ma intimamente mi sentivo una merda. Avevo capito non solo di NON essere geniale (questo lo avevo capito già quando al primo anno rimasi a scena muta alla domanda per la Lode ad Analisi I, quando manco compresi cosa avesse voluto chiedermi Verri e mi confermò il 29 dello scritto. E’ stato IN QUEL MOMENTO che ho fatto pace con la normalità, al Liceo qualche Professore mi aveva chiamato Genio e…va beh, senza menarmela e lo potete chiedere ai miei amici, ma ci avevo creduto), ma neppure un bravo ricercatore. Non mi consolava il fatto che anche altri non mi avevano saputo consigliare: loro avevano le loro ricerche, avevano speso solo qualche minuto con me, io ero rinchiuso lì sotto da SETTIMANE diventate mesi.

Quel giorno di Febbraio in quella stanza si presentarono in cinque, il Prof Longoni, il Prof. Cova, Sampietro, e due dottorandi, tutti di buon umore ma evidentemente frastornati. Il mio esperimento era comunque importante per tutti, dopo qualche mese era stata prenotata una slot temporale al Cern per verificare con le particelle più piccole quello che avrei dovuto “facilmente” riscontrare lì dentro. Insomma, era partita un pò d’ansia. Cova, un tipo in gambissima, era venuto lì a curiosare, la sua area di studio era diversa.

E avevano chiesto ad Emilio Gatti di fare un salto lì sotto.

Io Gatti lo avevo solo incrociato, era l’uomo più bonaccione e buono del pianeta, secondo me. Era distratto da panico, perennemente col sorriso, una birra a mezzogiorno nella paninoteca, e decine di storie sul fatto che la Vita reale fosse completamente estranea al suo pensiero, fatto di Fisica, calcoli, invenzioni. Tutti d’accordo, LUI era un Genio, il più grande Elettronico italiano di tutti i tempi, e una delle menti più brillanti dell’Italia del ‘900. Non era famoso a livello di mainstream, ma per tutti era un idolo.

Tanto per inquadrarvelo, una volta era andato in macchina ad un congresso a Venezia, due giorni dopo era tornato a Milano in treno, aveva cercato l’auto intorno alla stazione centrale per ore, e poi aveva denunciato il furto. Per caso qualche giorno dopo Sampietro venne a sapere della denuncia e aveva detto a Gatti, ma Emilio, tu a Venezia eri andato in macchina.

E Lui, candido e sorridente: “ah già”.

Aveva una vocina da bambino e l’ufficio tappezzato di poster di gatti. Insomma, lo amavano e veneravano tutti.

Era mattina, ed Emilio Gatti entrò nel “mio” laboratorio.

Ciao Emilio, ciao Emilio. Buongiorno, fece lui con la sua vocina da bambino.

Gli spiegarono del set up, di quello che si voleva trovare. La camera a Deriva l’aveva inventata lui, una delle sue decine e decine di invenzioni.

Ci guardò, e disse, tipo 20 secondi dopo la spiegazione: “provate a fare…questo e quest’altro” (non ricordo il suggerimento, ma tipo un minuto di spiegazione, non di più).

Ci guardammo…

Poi si scusò, con voce sempre da bambino e quasi inchinandosi disse, devo andare a lezione, scusate. Poi venite a dirmi.

Modificai il set up, 10 occhi a vedere. TUTTI, me compreso, si stavano dicendo, perchè non ci abbiamo pensato??

Un’ora dopo, l’esperimento era fatto. Da lì a qualche giorno dopo, fu solo una questione di mettere in ordine i dati, e scrivere il Capitolo. Non avevo fatto un cazzo, e Sampietro, nei minuti dopo che l’esperimento era riuscito, disse, ridendo, certo che Emilio è proprio un Gatto.

Ho avuto parecchie idee nella mia vita, tutte molto semplici. Nel mondo della montagna, la rassegna Monti Sorgenti, i libri Solitari, Lettere di Sosta e Uomini&Pareti, l’Academy dei Ragni di Lecco, la Pietra del Sud. A mio parere la creatività migliore l’ho avuta col romanzo Genius, quel soggetto è stato il mio apice, e l’intro di quel romanzo, scritto di getto, il mio momento migliore (forse nella Narrativa potevo essere qualcuno, qualcosa di Speciale. Questo l’ho spesso pensato. Poi però apro a caso un libro di Mac Carthy e anche lì la Genialità la vedo, come dire, di un’altra galassia…). Ironia della sorte, mai avuto un’idea brillante nel campo in cui mi sono laureato e lavorato per anni…sono, diciamo, un generatore di idee sociali, proposte per la collettività. Anche allenando, ho sempre un sacco di idee per i ragazzi, e ne sono orgoglioso perchè molte sono belle, creative, e funzionano. Ma non sono geniali.

Io e Matteo Della Bordella avemmo delle idee brillanti durante l’apertura di Infinite Jest e Coelophysis: io le pentole da lasciar su a raccogliere l’acqua e le buste di cibo semicotto che con due dita d’acqua ci facevano mangiare, lui l’apertura di una variante facile a 200 metri dalla grande parete per salire in fretta al bivacco superiore…idee normalissime, mica geniali. Però dirompenti e superfunzionali. Senza, non so se ce l’avremmo fatta…in Alpinismo, hai bisogno di piccole grandi idee per portare a casa una grande via e talvolta la pelle. Non hai il tempo di fare riunioni, discutere ore giorni mesi sul niente…devi agire velocissimo. Ma anche lì, non sono cose geniali.

Faccio parte di quelli che hanno le idee e parlano delle menti di quelli che le hanno, non sono uno sfigato che parla male e alle spalle di chi ha le idee. Anzi, ammiro quelli che le hanno. Nessuno arriverà qua in fondo, neppure lui, ma negli ultimi dieci anni, oltre a mio figlio, che oggettivamente nel suo campo è proprio un Genio, uno dei pochi che ho conosciuto che ha avuto delle idee è stato Luca Passini. Che peraltro sa anche modificare le idee altrui in maniera positiva, arricchendole. Sulle mie lo ha fatto spesso. Lui viene fuori da un ambiente in cui si parla MOLTO alle spalle, credo che da me abbia imparato a creare e non a distruggere. Una volta lo beccai che rideva alle mie spalle con uno che era abituato, appunto, a fare ironia sulle persone, glielo dissi e da allora è cambiato ancora. I mediocri spesso usano l’ironia facile per sminuire chiunque abbia delle idee. Ridere senza comicità è segno di mediocrità.

Io ho imparato da Emilio Gatti, uno dei 4 Geni incontrati nella mia vita, l’unico che ho frequentato più di dieci secondi nella mia vita (l’altro è Giovanni Zangari, oggi Professore negli Usa). Anche Simone Morandotti, musicista che ha composto per me alcune musiche, è un piccolo Genio.

Gatti, ovviamente, non fu un piccolo Genio. Era uno da QI altissimo, una mente regalato dal Cosmo o dal Divino a tutti noi.

Quello che provai nel cuore in quei pochi secondi che risolse un esperimento fu tumulto allo stato puro. Una mia atleta, Giulia Rosa, settimana scorsa descrivendo la fine di un allenamento molto duro ha esclamato, “mi sento il cuore nella punta delle dita”.

Ecco, la stessa cosa avvenne quel momento lì

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