Fabio Palma

Infinite jest

Genius

Romanzo di genere thriller-fantascienza. Il lavoro più intelligente che abbia mai concluso. Il libro ha avuto tre ristampe ma la casa GENIUS inizioeditrice non l’ha poi più ristampato. C’erano molti commenti interessanti su IBS ma dopo la comunicazione dell’esaurimento copie l’intera pagina del libro è stata rimossa. Di seguito un estratto, nella categoria GENIUS ne trovate molti altri.

Molto più completo era il rapporto su un certo Tony Petrucci, un quindicenne di Philadelfia. Un ragazzino, amante dei computer.
Il rapporto doveva essere stato compilato da uno che ci credeva, nella professione del poliziotto, dell’investigatore, perché conteneva tutto, ma proprio tutto. Partiva da metà degli anni sessanta, quando un certo Tonino Aucello aveva lasciato un paesino della Basilicata in cerca di fortuna, verso l’America, avendo l’unica arte della cazzuola e della malta. Aucello fece il muratore per tre anni, poi ebbe l’idea di importare pietra della Basilicata direttamente fin lì, nel cuore della Boshwash, una delle aree più ricche del mondo. Non gli costava molto, recuperarla, solo il trasporto. Perché la prendeva ai lati delle strade, riempiva un camioncino sgangherato, la portava al porto di Napoli, e qui aveva trovato il modo di caricarla, un camioncino a viaggio, e questo per due anni. Era, complessivamente, una questione di pura pazienza.
Il viaggio durava tre mesi, evidentemente, sottolineava il rapporto, Aucello doveva avere degli amici, su quei cargo navali, perché la pietra pesa, e il trasporto doveva pur costargli qualcosa, magari anche di più di qualsiasi cosa, diceva il rapporto, ma comunque, ma comunque, aveva scritto l’investigatore, Aucello doveva anche essere un tipo paziente, e diciamo pure lungimirante, perché in tre anni accumulò una bella montagnetta di pietra, di sassi, che denominò sassi di Matera, anzi, i veri sassi di Matera. Siccome non erano sotto brevetto, insomma non erano registrati, nessuno si era preso la briga di legiferare quale fossero davvero i sassi di Matera, Tonino Aucello, legalmente parlando, non stava commettendo nessun reato, veramente, e così poté costruire una villetta di veri sassi di Matera, che creò un certo scalpore. Non dimentichiamo, scriveva il rapporto con un inatteso excursus sociologico, che la maggior parte degli americani benestanti cerca, per tutta la vita, vorremmo dire rincorre, la meta di una casa grande, enorme, il gigantismo, insomma, trascurando completamente il sostrato (sostrato?, si chiese Stojko. Ma come scrive questo? Capo, che vuol dire sostrato?), tanto è che nelle periferie di Philadelfia e New York vedi case senza contorni, senza fine, decine e decine di camere, e tutto costruito in legno, e sopra il legno moquette, così che non si senta lo scalpiccio, insomma, case che madre natura fa fuori in un amen, con un tifone ben assestato o un incendio ben fatto.
Insomma, la villetta di Aucello interessò subito un paio di ricchi del posto, italo-americani, sottolineava il rapporto, lasciando intendere che doveva essere gente ricca ma chissà per quale vero motivo e sorgente di ricchezza, comunque ad Aucello fu commissionato un primo lavoro, e poi un altro, pagamento anticipato, almeno per la provvigione della pietra, e così, per farla corta, e qui il rapporto accelerava, nel giro di un quinquennio il Tonino divenne ricco, prima moderatamente ricco, poi ricchissimo, se è vero che alla fine degli anni ’70 aveva già un’azienda di costruzioni con una decina di operai, e nel 1983 era diventato il più importante costruttore della zona, zona intesa come l’intera provincia di Philadelfia, e poi alla fine degli anni ’80 dell’intero stato del New Jersey, anche perché si era, per così dire, differenziato, nella proposta, ora proponeva case italiane con vera pietra italiana, e c’era la scelta fra pietra pugliese, vulcanica (ah, il Vesuvio, pensò Rudy), sarda, basilicatese (capo, per me non si dice così, commentò Stojko), ovviamente, e poi irlandese, avendo nel frattempo scoperto che anche gli irlandesi amavano la loro patria senza se e senza ma, e per una casa in pietra della loro terra, sia pure prelevata dai bordi di una strada o in una discarica smessa, facevano pazzie.
Aucello ebbe cinque figli, tre femmine e due maschi, e uno di questi, appunto, lo chiamò Tony. Per la precisione, Tony Petrucci Aucello, per un capriccio di famiglia la cui genesi, nel rapporto, non era assolutamente chiarita. Questo Tony nacque tardi, nella vita di Aucello, basta fare i conti, avendo oggi quindici anni, e nel rapporto si specifica che, così come tutti i figli e le figlie, fu sostanzialmente abbandonato a se stesso, nel senso che in quella smisurata casa in pietra in cui vivevano, con una quantità incalcolabile di badanti, parenti accorsi dall’Italia e lì residenti, e altre persone non meglio identificate, nessuno davvero si curò mai di lui. Il rapporto specificava, non senza una punta di disprezzo, che molti dei componenti della famiglia Aucello non parlavano neppure l’inglese, vivevano lì, nella grande America, e parlavano solo Italiano, e potevano permetterselo, visto che nella casa erano in più di trenta, fra vecchi, intermedi e bambini, praticamente ogni sera c’era un cenone, fra l’altro accorrevano anche altri italiani della zona, un paese in un paese, e in un contesto del genere era facile andare avanti per conto proprio, cosa che fece, astutamente, Tony Petrucci, che siccome a scuola se la cavava senza intoppi non aveva a che rendere a nessuno, e certo i soldi non mancavano e le mance pure, per fare quello che uno voleva fare, anche se bambino, assecondare predisposizioni, inclinazioni, voluttà (è un poeta, è un poeta, disse Stojko).
Qui il rapporto prendeva una piega seria, lo si vedeva. Pare che questo Tony Petrucci, e il pare non era certo del compilatore del rapporto, diventasse da subito un vero e proprio genietto dei computer, intendendo dire che il ragazzino era un fenomeno informatico, imparò codici e linguaggi senza limite, e probabilmente divenne anche, nel giro di due anni, un così detto hacker, di quelli importanti, fra l’altro, insomma, addirittura si scomodò l’FBI, senza nessuna prova raccolta, però, ma con qualche sospetto, parecchi sospetti, che Tony Petrucci fosse uno dei più acerrimi hacker del mondo, un vero e proprio flagello di Dio, informaticamente parlando.
Già qui penserete che c’era materia sufficiente ad una sparizione, da Genius, insomma, ed è proprio quello che pensarono Rudy e i suoi tre, nella lettura.
Vi sbagliate. Il bello doveva ancora venire.
Tony Petrucci, infatti, cominciò a frequentare un ventunenne ricercatore universitario, biologo, arrivato dall’Ohio, e in qualche modo alloggiato senza problemi nella grande casa di pietra. Come e perché questo ragazzo, questo biologo, di nome Gary Stout, e che per comodità chiameremo Gary, arrivò nella grande casa, senza nessun inciampo nel restare, non è chiaro, ma si poteva sorvolare, sulla questione, primo perché la libertà di Tony era praticamente assoluta, come essere un gabbiano e l’oceano, e secondo perché, nel caso, e non sembrava il caso, un hacker che si rispetti certo non avrebbe avuto problemi nel reperire risorse economiche praticamente infinite.
A questo punto, mentre Stojko rifletté che se la metempsicosi esistesse chiederebbe al comando di rinascere hacker, Rudy lesse con un brivido che Gary era anch’egli un personaggio fuori dal comune, inteso come intelligenza, e che proveniva da un’Università ben sovvenzionata da Intel, e molto avanti negli studi sulle memorie biologiche. In particolare, Gary stava studiando la possibilità di assemblare, progettare, costruire, memorie coi batteri.
Caspita, pensò Rudy, ad alta voce. Anticipò di un paio di minuti l’identica esclamazione dei suoi tre fidi, che la dissero poche righe di lettura più avanti. Usarono una parolaccia, al posto di caspita. Ma possiamo capirli.
Qui il rapporto spiegava, e bisogna fare un complimento al redattore perché era stato chiarissimo pur non essendo evidentemente quello il suo campo, che Gary aveva isolato una specie di batteri che si illuminavano se colpiti da una piccolissima scarica elettrica (un piccolo impulso, aveva corretto, mentalmente, Rudy), così che bastava costruire una tela di batteri per avere una matrice di Uno e Zero, Uno quando si illuminavano, Zero nel caso di batterio dormiente.
Già qui la cosa era particolare, originale, ma era farina di Gary, e non solo di lui. Insomma, era una ricerca ufficiale, per quanto moderatamente segreta nei particolari, sponsorizzata da un colosso multinazionale, una delle società più ricche del mondo, in sintesi, era un qualcosa che sarebbe arrivato sul banco di tutti.
Ma qui era intervenuto Tony. I due dovevano essersi trovati, su Web, su quel mondo che ormai non è più virtuale, anzi, il vero mondo contemporaneo, quello dove la vita si sviluppa in un modo tutto suo, va in parallelo a quella vera, ormai vecchia e senza più niente da dare, una vita, quella di Internet, dove si sta consumando il futuro prima che avvenga. Tony, da buon bambino geniale, dotato di fantasia, non certo ignaro che la fantascienza è spesso semplice prodromo alla vita reale, si era detto, questa non è, potenzialmente, una semplice memoria miniaturizzata, questa è una memoria viva. I batteri sono vivi, si alleano, fanno disastri e cose buone. Vivono. Il mondo, la vita stessa, è nata da loro, nel così detto brodo primordiale.
E pensò di farli PARLARE, questi batteri.
Farli coalizzare.
Farne truppe.
Comandarli.
Il sogno di un hacker. Avere a disposizione delle truppe VIVE, capaci di reagire agli attacchi anche per conto loro. Capaci di organizzarsi. E di rispondere.
Il rapporto terminava così. O poco oltre, insomma. I due erano scomparsi, e nella grande casa non se ne erano neppure accorti subito. Nella camera, enorme, di Tony Petrucci, c’erano parecchi terminali, e qualche computer. Intel stessa aveva voluto vederci chiaro, alla notizia, non avendo digerito bene che quel Gary fosse sostanzialmente fuggito pur essendo uomo di punta di una ricerca lautamente pagata. Dove era finito?
E dopo un mesetto di lavoro su quei terminali, gli esperti avevano concluso che in quella stanza c’era qualcosa di strano, davvero. Uno digitava un comando, in codice da computer, in linguaggio macchina insomma, e la macchina stessa rispondeva, e rispondeva a tono. Faceva delle cose sue. Reagiva. E non in maniera meccanica. Non era necessario scrivergli, a terminale, fai questo. Bastava dirgli, vedi cosa fare, e la memoria si organizzava. Non era grande, si capisce, i due erano all’inizio, in quella camera c’erano memorie ortodosse infinite, terabyte di normale silicio, ma, accanto, anche un contenitore di batteri, fluttuanti, ognuno a riempire una cella di infinitesimo spazio. Come un alveare.
Le altre memorie obbedivano, ed era già un verbo audace, sia pure di significato passivo.
Quella, ragionava. Ed era una questione di significato attivo.
Dio mio, si disse Rudy.
Il rapporto terminava affermando che anche senza comandi la memoria biologica faceva cose, e le faceva a corrente staccata. Senza energia, insomma. Interruttore spento. E compiva cose cattive. Distruggeva il contenuto delle memorie adiacenti, quelle di silicio. Quelle storiche.
Rudy posò il rapporto, la prima volta, e attese che anche gli altri finissero di leggere.
Che ne dite?
Senza parole, capo.
Già.
Che storia, mormorò Dallas.
Io mi sento come aver ingoiato dei rasoi accesi, disse Serghei.
Sai cosa stavano progettando, quei due?
L’intelligenza artificiale, vero?
Anche. O forse sì. Rudy si alzò per andare nell’altra stanza. Aveva sete. Ma io la chiamerei diversamente, aggiunse.
Camminando verso il frigorifero, si sentì ingobbito e cadente.
Quei due stavano cercando la coscienza, disse.

Lascia un commento