Fabio Palma

Infinite jest

IL PESCE ROSSO

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E’ tutt’ora uno dei miei racconti preferiti. Scritto nel 2006, poi parzialmente modificato e ripreso per un capitolo di Genius. Ne sono particolarmente orgoglioso, una delle poche cose scritte che non toccherei pur essendo, da allora, certamente migliorato in stile e ritmo.

 

Il pesce rosso

La vasca era di marmo, brillante di rossiccio con qualche chiazza bianca, come un gelato all’amarena. Era larga forse un metro, gli otto pesci rossi muovevano appena l’acqua tremula per non incappare nel muro lucido troppo in fretta. Andavano avanti e indietro, un paio, meno entusiasti, parevano addirittura fermi.

Cisul li guardava come se fosse la prima volta, ed era vero, non aveva mai visto un pesce, vivo, dico, solo quelli cucinati dalla mamma, allora anche i due più stanchi sembravano guizzare, una sfida, quasi.

L’autogrill brulicava di gente sudata e bagnata di controvoglia, era il giorno del gran Rientro, forse l’unico contento di se stesso e della vita, lì, era Cisul, per il suo gran bicchiere di coca cola regalato da papà.

Mamma era laggiù nella lunga coda per il bagno, papà leggeva il giornale appoggiato a un tavolino a stento retto da un gambo anonimo, c’era cartaccia intorno e sopra, e confusione.

Cisul poggiò il bicchierone sul piano della vasca, e accarezzò l’acqua con le dita, un gesto dolce, da innamorato, ma Cisul non lo sapeva, era un bambino ancora piccolo, però quei pesci commuovevano, erano vivi, non si mossero neanche tanto, alle carezze del bambino, forse non erano abituati all’accelerazione, poi si incuriosirono, uno soprattutto, si girò piano come moviolato dalla curiosità e lento avvicinò la punta delle dita del bambino. Cisul si guardò intorno perché era già abbastanza grande da aver imparato cosa fosse colpevole e cosa invece, magari, consentito, ma l’autogrill intero badava ai casi suoi, così immerse la mano, e toccò il pesce. Ci fu quasi un ribrezzo, il pesce però acconsentì, anzi azzardò un morsetto, quasi un pizzicotto.

Fu un attimo…Cisul prese coraggio, o qualcosa di simile, se potete capire…e lo afferrò. Il pesce sembrò sorpreso, si scosse, allora Cisul lo lasciò andare perché le squame scivolose avevano dato un senso strano, non erano come quelle avvizzite dei pesci avviati alla cucina, erano languide. Però non faceva schifo, così lo fece un’altra volta, e un’altra ancora. Lo riprese, lo lasciò andare, lo riprese ancora. Era lungo quanto la sua presa, non andava neanche stretto, per tenerlo. Lo lasciò andare, ma gli mancò.

C’era la coca cola, ne bevve un sorso ( era un sorso lungo, perché la mamma la proibiva sempre, per i denti, così a casa non era mai un sorso, un fiato, appena un fiato), c’era il bicchierone, una intera messa di coca cola…un altro sorso, e la buttò. Così. Nella vasca, che l’acqua divenne quasi torbida, curiosa, una spuma di bollicine, Cisul svelto riempì il bicchierone al lato di sola acqua, poi afferrò il pesce, che si lasciò prendere, che fosse stanco della vasca di amarena?, c’era il coperchio di plastichino bianca, e poi la cannuccia, e due o tre attimi bastarono per cambiare vita al pesce e a Cisul.

Cinque ore dopo di autostrada e molte curve male abbozzate dalla guida esausta di papà, ancora mamma gridava a Cisul di finire quella coca cola ma papà urlò, d’un tratto, uno schioppo di rabbia, di finirla, con quella storia, che era vacanza ancora e che si sfottessero i denti e le malattie e i conti dei dentisti, di lasciare in pace Cisul, la coca cola, e lui che ancora mancava un’ora a esalare l’ultimo respiro di vacanza, se si poteva ancora chiamarla tale, con quell’umore.

Il pesce tormentava il bicchierone con piccole sfuriate alternate a lunghe pause rassegnate, devono avere come il senso del destino accollato addosso, i pesci, perfino i pesci rossi, come se la vita fosse passeggera, che lo è per tutti, ma loro in qualche modo già lo sanno, lo intuiscono dal primo guizzo che potrebbe essere anche l’ultimo, non hanno quell’ottimismo un po’ idiota che ci contraddistingue. Comunque, il pesce ci viveva, in quella nuova vasca, e appena nel vialetto Cisul scese dalla macchina in un lampo, voltò un angolo, e gettò il pesce moribondo nel laghetto, quello che si erano trovati da progetto, la casa era loro da qualche mese appena, per un trasferimento di papà, e il laghetto era lì, salmastro, tollerato da papà e odiato da mamma, che guardava le colline e sognava le vetrine perdute e gli shopping del week end. Il bicchierone, per sicurezza, finì immediato nel gran cestone dei rifiuti.

Nei due giorni successivi il pesce ripigliò vita, per le briciole di Cisul, per lo spazio, per un non so che di sollievo che pure i pesci devono provare quando la fanno franca dal destino. Certo è che mamma scoprì il pesce solo dopo un mese, si capisce, a chi mai fregava del laghetto?

Fausto, c’è un pesce rosso nella vasca!”, un urlo, mica un avvertimento

“…”

Hai capito, c’è un pesce, nel lago…” lo chiamava lago, perchè due metri d’acqua erano ben più di una pozzanghera”

Come un pesce rosso?”

L’hai messo tu…anche il pesce, ci voleva, chi gli dà da mangiare, adesso? Come se non avessi abbastanza, nel giardino”

Sei impazzita? Fa vedere” Il pesce era lì, il gran culo dei pesci è che sott’acqua non sentono gli schiamazzi del mondo asciutto, una fortuna, si direbbe…era in gran forma, muoveva agile la pinna e si vedeva, che il laghetto era una Pasqua, per un pesce rosso.

Beh, carino…che fastidio vuoi che dia? I pesci rossi vivono da sé, mica gli devi fare qualcosa”

Mi fanno schifo, i pesci rossi…guarda che occhi…prendilo”

Mamma, mangiano le zanzare, l’hanno detto a scuola” Così Cisul vinse la sorte del pesce rosso, con uno schifo che vinse sonoramente un altro schifo, delle zanzare non se ne poteva più, effettivamente, questo mamma lo conteggiò veloce, e così il pesce rosso fu salvo, e crebbe, Cribbio, da quel giorno di ufficializzazione fu un crescere continuo, forse anche papà dava le briciole, chissà, fatto sta che divenne lungo un mezzo metro buono, non è che fosse bello, bisogna dirlo, ma grande e grosso sì, un’espressione di vitalità che neanche l’Inverno, il primo Inverno vero del pesce rosso, la scalfì, il laghetto gelò che ci si sarebbe potuto pattinare sopra, di fatti Cisul ci andò su di peso ed era chiaro che il pesce era secco, là sotto, gelato come il miglior freezer da tre stelle, e invece, tac, al primo tiepido comparve fuori come niente fosse, come avesse fatto era un mistero perché il letargo, a scuola, l’avevano associato agli orsi, ai tassi, ai ghiri, insomma ad animali di terra, non ai pesci, comunque il pesce rosso era lì, affamato, anche, visto che si sbranò una michetta in un amen e c’era da stare attenti, a mettere la mano nel laghetto, aveva uno sguardo, poi…

Quando la mamma se ne andò un anno dopo, dico definitivamente, il pesce era ancora lì, e quando Cisul arrivò alle medie pure, e c’era anche al primo motorino, e al secondo visto che il primo si schiantò in fretta.

Poi un giorno papà partì in trasferta, ed era la prima volta, per Cisul, essere da solo a casa…ogni sera ci fu una festa, qualcosa del genere, diciamo, più che altro si vedeva la Tv con gli amici, si bevevo birra, si sporcava in giro, poi venne l’idea della grigliata, ognuno portò qualcosa, carne peperoni, salsicce, le salamele,e fu Luca a vedere il pesce, poi a preparare la fiocina con un coltellaccio e un manico da scopa, e ci provarono tutti e cinque, ad infilzarlo, il pesce era scafato, si vedeva, cattivo, anche, poi arrivò il colpo giusto, lo ferì, perse velocità e schivò peggio, e infine lo tirarono fuori agonizzante, enorme, mai visto un pesce rosso così, lo portarono sulla griglia che era ancora vivo ma poco, e lo arrostirono.

Dopo venti minuti era color bronzo, era la portata più grande, l’avresti detto una cernia, io andavo sempre al mare a pesce e le cernie erano così, lo giuro, comunque ne facemmo tranci e lo assaggiamo tutti insieme, e penso che tutti ancora ricordiamo quanto facesse schifo da mangiare il pesce rosso.

Cisul lo portò di là, nel cassone da rifiuti, noi ci lanciammo disperati sulla carne, c’era da levare quel sapore amaro, anche se era peggio, dell’amaro, quella roba che sentivamo in bocca.

Ricordo Cisul in un angolo, aveva qualcosa di malsano addosso, così mi raccontò la storia del pesce rosso…quando finì, ingollò un sorso di coca cola. Me lo ricordo come fosse ieri, quel sorso.

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