Fabio Palma

Infinite jest

INTERVISTA MERIDIANI MONTAGNE, 2022

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Come è nata la tua passione per le scalate?
Avevo iniziato con Speleologia e Canyoning intorno ai 25 anni, poi per puro impulso
casuale intorno ai 30-32 andai un giorno da solo alla falesia di Civate, incontrai un ragazzo
che si terrorizzò ad assicurarmi perché caddi malamente almeno 5 volte ripartendo
sempre come se niente fosse. Diventammo inseparabili, e cominciai a scalare una volta la
settimana dal week end dopo che nacque mio figlio, ottobre 1999. Per giunta è il mio commercialista da anni, il mitico Gipeto, per l’apertura delle braccia.

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Come è avvenuto il tuo. cambiamento professionale da ingegneria alle scienze motorie?
Ho abbracciato molte passioni nella mai vita, per esempio dal 2005 al 2012 ho davvero
studiato tanto la letteratura americana contemporanea a livelli di Master universitario, e le
scienze motorie le avevo dovute apprendere a metà anni ’90, quando divenni allenatore di
calcio a 5 dopo aver rotto il crociato. Quando dovetti sostituire nel 2016 un istruttore dei
ragni con la squadra U14, ovviamente mi misi a studiare di nuovo per non fare danni. Il
corso di scienze motorie in questi anni lo trovai però molto arretrato. Mio figlio era
ossessionato dall’allenamento alla Forza, leggeva montagne di pubblicazioni straniere e
seguiva su youtube tutorial e lezioni di Guru americani, preparatori di campioni di NFL e
NBA. Quando Beatrice Colli partecipò a un raduno di valutazione della nazionale, chiesi a
mio figlio, e adesso? Mi passò metodologie e protocolli, li ho adattati, e mi tengo
aggiornato. Ho anche sperimentato alcune cose, ho pubblicato “Allenare i giovani
all’arrampicata sportiva”. Quel Manuale è tutt’ora mio riferimento, e arriva da due anni di
studi e sperimentazioni.

Risultati alla mano sembra che l’allenatore sia più importante dell’atleta. È veramente
così?

No, un fantino non è mai arrivato da solo al traguardo del Palio di Siena…ci sono allenatori
che rovinano carriere, questo sì. Tantissimi e in tutti gli sport. Il bravo allenatore cerca di
non rovinare un campione, di trovare miscele giuste e personalizzare al meglio. Bea ha
avuto la fortuna di incontrarmi perchè era da sola e chissà in che mani sarebbe finita, ma il
90 per cento dei suoi risultati, compreso il titolo mondiale di Speed U18 e nel 2022 i podi di
Boulder, le Coppe del mondo di Speed e Boulder, il record italiano di Speed, sono merito
suo. Mi segue in tutto, io devo sbagliare il meno possibile e domare le tensioni. Ha una
professionalità incontrata ben poche volte sul lavoro e degna di un Phelps, 20 ore alla
settimana di allenamenti già a 15 anni, liceo scientifico con media dal 7 in su. Ogni mattina
alle sei scrivo il suo programma sulla base del report del giorno prima, e lei esegue tutto.

Oltretutto la Speed è molto ma molto più complessa della Lead e del Boulder. Alleno anche Davide Colombo e sono in grado di correggerlo e tracciargli, ma uno sprint dai 7 agli 8 secondi è insormontabile da capire senza aiuto dell’atleta e di sofisticata analisi video, possibilmente sopra i 60fps, meglio 240. L’atleta è sempre molto più avanti di te.

L’allenatore è un catalizzatore e mentre nei giorni successi l’atleta riposa, deve ragionare e cercare di capire cosa è meglio fare. Mi consolo vedendo che almeno in Italia nessuno nella Speed capisce prima o quanto gli atleti. Talvolta mi sento inadeguato ma poi leggo cosa succede in sport di Potenza e massima rapidità e tranne casi rarissimi anche allenatori Top hanno il mio problema: rincorrono le spiegazioni dell’atleta.
E’ un dono per me averla incontrata. E non mi prenderò mai meriti che sono solo suoi. E vorrei che anche con Valentina, Samu, Davidino, Giulia, Vera e Tommy si arrivi in altissimo e possano scegliere anche per una carriera nello sport. Perché onestamente oggi la stragrande maggioranza dei laureati fa una vita schifosa, non è più come quando mi laureai io, che avevi da scegliere, guadagnavi bene e avevi rispetto. Oggi ti laurei in ingegneria, giurisprudenza, medicina, e vieni trattato con zero rispetto, per molti anni ti mettono a fare poco più che fotocopie, con stipendi assurdamente bassi. Se non scappi all’estero o non sei veramente fortunato, a 28 anni sei vecchio, arranchi per la fine del mese, zero socialità e tante, troppe domande esistenziali. Parlo con cognizione di causa. Quindi ora lo sport e qualunque passione che diventi lavoro, pur con delle limitazioni di libertà certo, è assolutamente una grande alternativa. Uno sportivo di alto livello certamente se la passa molto meglio di un ingegnere o un biologo a 25 anni, e se da autodidatta legge letteratura, guarda film e serie di ogni genere, sicuramente a fine carriera avrà molte possibilità. C’è un ragazzo che ha smesso che aveva davvero delle possibilità di professionismo, ma la famiglia remava contro e a 16 anni ha fatto una scelta, la più facile. panchine con gli amici ogni pomeriggio. So già che a 30 farà come 4 miei ex giocatori di calcio a 5. Enormi rimpianti.

Ma quindi non vedi conciliabile università con sport?

In Italia assolutamente no se sei professionista e punti ad essere fra i migliori al mondo, e non lo vedo per niente utile. Culturalmente inutile ma anche inutile per il futuro post carriera sportiva. E il rischio di uscire dai migliori, vedasi Burdisso nel nuoto, è altissimo. Voglio essere lapidario, la cultura universitaria è così specifica che tranne rarissime lauree, e non arrivo a tre e sono quelle a zero sbocchi lavorativi, alla fine sei un ignorante con competenza specifica, e il titolo di studio oggi non apre a una vita serena. Tutti i laureati con lode che conosciamo io e mio figlio a 30 anni guadagnano meno di 3000 euro al mese, Una riserva in serie A pallavolo guadagna di più e se si forma culturalmente avrà un futuro sereno. L’arrampicata mi ha dato tantissimo, prima come Presidente Ragni e oggi come allenatore mi pare giusto ricambiare offrendo anni sereni a chi se lo merita. Ai tempi aiutai Matteo, Luchino, Berna, ora tocca ai miei atleti. Mi pare giusto e mi appaga tantissimo vedere che molti ce l’hanno fatta e ce la fanno. Vivere della loro passione.

La cosa più difficile nel tuo rapporto con le giovani leve dello sport?
Essere alla loro altezza e non perderli, impedire che un talento venga massacrato da
famiglie, scuole troppo sbagliate per i carichi di lavoro, e amicizie sbagliate. Tutte
negatività che fanno smettere in anticipo. E anche errori nel contesto societario o di
federazione generano Exit. Gli adulti sono pervasi da conflitti di interesse, ben pochi
pensano in primis al bene dei ragazzi, anche fra gli allenatori. Molti sono arroganti e
pensano di non sbagliare mai, sono i peggiori. Tanti corsi di formazione sono tenuti e
gestiti da gente che non ha mai allenato o ha fatto disastri, hanno la “patacca” ma…
Senti di avere una responsabilità quando alleni, non tanto per i risultati. Sì, ovviamente ci
sono anche quelli, e ti devi mettere degli obiettivi, ovvio, però… hai responsabilità perché quando hai a che fare con minorenni devi ponderare dei fattori che già per un 20enne sono meno importanti.

O forse no, lo sono comunque, ma si sottovalutano. La fragilità emotiva, l’impatto sul
fisico, cose così…sbagliando, si è meno portati a considerare la frase, “accetterà il suo
fisico e la sua mente questo carico’”.
Allenare un minorenne è come insegnare alle medie superiori e inferiori: sai che davanti
hai un cristallo, dei cristalli: essi brillano, ma basta un niente a graffiarli, a romperli, a
smussarli male.
Essi sono insieme apoteosi della bellezza, dell’estetica e della fragilità. Un cristallo rotto,
nonostante la tecnologia abbia fatto passi da giganti, è molto, molto difficile da recuperare.
Il rischio è che tu l’abbia incrinato irreversibilmente. Ho sempre un sacco di dubbi e di
timori, faccio mille domande, “sei stanco/a, come va, ti è piaciuto l’allenamento. cose
così, guardo questi cristalli e leggo articoli di inglese e mi consulto con mio figlio che ha
divorato tutto quello che è stato pubblicato negli ultimi anni, scrivo e riscrivo.
Mi accorgo di essere tornato studente e insegnante. E’ una delle fasi più stimolanti della
mia vita. Ho dentro la stessa ebbrezza che avevo quando aprivo le vie, ma è più difficile,
perchè davanti ho dei cristalli e fra questi non ci sono io

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