Fabio Palma

Infinite jest

Uè Fabio, com’è

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Sono stato proposto per i Ragni e ci sono entrato nel 2003, insieme a Gio, e a Cristian Brenna. Era fine autunno o inizio inverno, tavolata della cena. Conoscevo Gio e certamente pochi sapevano chi fossi io, non avevo ancora aperto le vie, non ero nessuno, ma tutti sapevano chi fosse Cristian. Cioè…era quel tipo che da elettricista era arrivato in catena a un Rock Master. Era quello che si era formato sulle placche lecchesi, a Erna soprattutto, e poi siccome era diventato forte ma le gare si svolgevano su strapiombo, si era fatto a casa sua il pannello più strapiombante del mondo. Non lo sapeva, me lo ha detto giusto qualche mese fa, aveva un sacco di storie divertenti e una delle ultime fu questa, che andarono a casa sua garisti stranieri e tutti rimasero attoniti da quanto strapiombasse. E dai suoi circuiti di 70 movimenti. All’inizio la sfida era fare 4 movimenti, poi piano piano arrivarono i circuiti. Ma quanti? Ah, 10×70. Ma finiti, eh. Se cadevi non contavano 

Siccome l’alternativa era fare l’elettricista, ci diede dentro come quelli che hanno fame di una vita migliore. Ed entro’ in Finanza. Arrivo’ anche secondo in Coppa del mondo, la sua sfiga fu la presenza di Legrand, che sullo stile di quei tempi, infinita resistenza su prese discrete quasi tutte uguali, era veramente imbattibile. E perse anche molto da Yuji Hirayama, il primo giapponese della storia dell’arrampicata, che divenne suo grandissimo amico. Era molto difficile non essere amico di Cristian.

In questi ultimi due anni entravo nei palazzetti delle gare e lui mi salutava sempre per primo, era velocissimo a salutare. Com’è Fabio. Lui a me. 

Dissi più volte chiaro e tondo a chi di dovere che lui  avrebbe dovuto fare una lezione di due ore o più a tutti gli agonisti italiani. Lui aveva vinto e perso davanti a 10000 persone, aveva lottato contro lo squadrone francese, contro la NON federazione italiana e l’organizzazione francese e il talento di Yuji. Lui e Zardini erano stati eroici.

Era incazzato come una bestia per i conflitti di interesse italiani. Non avrebbe mai fatto certe cose in favore di sua figlia, e per questo quando a dicembre fu scritto che era nel team federale dissi, finalmente. Meritava la totale responsabilità perché nessuno ne capiva quanto lui e nessuno avrebbe mai stimolato e consigliato quanto lui. Infatti gli chiedevo sempre tutto e gli sottoponevo tutto. Sul piano politico, eravamo d’accordo su tutto. Siccome era per la competenza e la meritocrazia, era ovvio ma era ancora più netto di me. E aveva un occhiometro incredibile. Domenica, domenica scorsa, al piede che va via dice, ancora questi blackout, mi fa. Fretta, fretta, fretta. Gli dico, i piedi li guarda, e’ concentrata. E lui, a Milano, riguardati il video della finale, io non l’ho fatto ma ho avuto la sensazione che guardasse il piede, poi alzasse la testa e lo caricasse, e quindi lo perdesse. Perché aveva fretta. Invece stava bene, doveva guardare il piede, metterlo, sentirlo, spingere e andare su lentamente. Su quei piedi devi spingere con calma. 

E sulla finale di sabato mi fa, Franci e la Hofer erano marce, lei no. Ha fatto quel lancio come loro, perché non ha usato l’intermedio? Faceva retroversione bacino, intermedio pinza del volume, passava tranquilla. Aveva tutto il tempo. Non fanno mai retroversione bacino.

Guardava tutto di tutti e tutte, si era calato molto bene nel ruolo. Io ero contentissimo e un paio di volte gli avevo anche telefonato, lui sempre disponibile. Lo avevo messo dentro nel libro Uomini&Pareti, insieme a Hirayama, Manolo, Moffat, Moon, Edlinger, Berhault, Huber, Glowacz. I grandissimi, le leggende dell’arrampicata. Gli altri erano alpinisti, in totale 16. Per me era nel 2000 uno dei grandi 10 della storia dell’arrampicata, e questo forse lo aveva sorpreso e da allora e per allora forse mi salutava sempre per primo. Com’è Fabio.

Abbiamo perso tantissimo perché quella cosa di starlo a sentire per due ore la volevo proprio fare. Il ragazzino con i Dreds che da elettricista era finito in cima al Rock master, poi era diventato professionista. Lui odiava due cose, proprio non le sopportava e si incazzava oltre le regole (e per questo fu sospeso dalla nazionale e fu mandato in punizione per tre anni dalla finanza…): le ingiustizie meritocratiche e il lamento da fatica. Chiunque si lamentasse per lui era da pigliare a sberle. Qualche mese fa mi disse proprio così, “se uno ha uno stipendio per fare le gare, deve allenarsi 40 ore alla settimana e fare tutte le gare, 4 settimane al massimo di ferie l’anno. Ma deve sapere che c’è chi non le fa e gli finirà davanti. Ma ti rendi conto che c’è chi dice che è stanco perché ha due gare consecutive?” Usava sempre la frase “ma ti rendi conto?”

Quando venne fuori che sarebbe andato al Pier Giorgio, io rimasi senza parole. Ma che cazzo c’entra Cristian Brenna con la Patagonia?

Ero al Ratikon con Paul e Dodo quando dissi così, e Paul ebbe la risposta pronta: una di quelle risposte che te le ricordi per sempre.

Brenna? Uno che si è allenato per le gare come ha fatto lui si mette 10 ore al giorno a fare dislivello con il saccone e nessuno gli sta dietro.

E naturalmente avvenne questo. E negli anni successivi divenne guida alpina, faceva alta montagna come se niente fosse, gli venne un po’ di pancetta ed io con sei anni in più ero fisicamente messo meglio.

all’apparenza. 

Perché con la pancetta venne a Ponte Brolla sul famoso spigolo di 8a con tallonaggi e naturalmente lo fece a vista, e per lui andare a vista era rigorosamente mettendo i rinvii. Infatti c’era un mio fisso lungo al terzo perché era un rinviaggio delicato e se lo sbagliavi non era bello e mi disse, ah io l’ho rinviato dopo. Minkia ma se va via il tallone su quel liscio arrivi a terra da 5 metri e sotto hai tutti quei massi appuntiti.

Rise come sapeva ridere lui e rispose, eh, l’ho rinviato dopo 

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