Mi è stato detto, scrivila tu, questa storia, che un po’ ci sai fare. Hai visto il mondo e lo hai anche scritto. Come se fosse facile, renderla credibile e sincera. Un palcoscenico (palcoscenico?) con migliaia di anime. Anima. Lo scrittore vero dovrebbe essere una sonda infinitesimale, perché l’anima è certamente irrorata, ma i suoi capillari saranno filamenti a diametro nullo, ne sono sicuro. Fra l’altro, chi è predisposto ad irrorare l’anima? Il cuore? Io non credo…Il cuore se ne frega, dell’anima. Ha altro da fare. La scrittura è un fiotto meditato di una remotissima coscienza, protetta da quella verniciatura epossidica che co-stringe l’immagine di se. Scrivere esula da tanti intenti premeditati, è l’esposizione mediatica dell’intimo, e quando non è ritoccata è terrorista del proprietario della sua mano. Questo per dire che è possibile che la scrittura provenga dall’anima e non dal cuore, ipotizzando che la coscienza sia dalle parti dell’anima, appunto, ma un conto è scrivere di se, un conto di mille e mille anime. I così detti personaggi di una storia. Che qui sono così tanti che mi gira la testa soltanto a pensarci. Poi bisogna dire che per capirla, questa storia, bisognerebbe avere un po’ di conoscenze matematiche e scientifiche ( questo allontanerà stizziti alcuni critici letterari, lo so), e apprezzare un mondo musicale che va dai Pearl Jam a Puccini, con Miles Davis, Poison Black e così via sempre in sottofondo. perché questo ascoltava la squadra, mentre proseguiva, e questo ho dovuto ascoltare anch’io. D’altronde, per non impazzire di fronte ad un’affermazione come questa, ciò che è dimostrabile è molto meno di ciò che è vero (non disse proprio così, Gödel, ma insomma…), ascoltare della musica ad alto volume è un tranquillante come un altro. E comunque devo avvisare il lettore che non è stato un compito facile, ascoltare Rudy e trascrivere quanto mi ha detto, tra sillabe fuorvianti e monosillabi che non portavano da nessuna parte. Come se non fosse totalmente razionale, questo Rudy, nonostante la sua storia personale e la sua cultura, e volesse esprimersi con gesti e occhiate piuttosto che con frasi sussistenti. Una volta mi disse, non stare troppo ad ascoltarmi, quando voglio fare l’erudito o descriverti le cose per filo e per segno. Una parola vale molto di più della frase che poi ci costruisci intorno. Che cosa avrà mai voluto dirmi? Lascio al lettore la possibile interpretazione. Rudy lo potrei definire un disadattato, un tardo disadattato. Così intelligente, superiormente intelligente, ma una suora, oltre quattro decenni prima, aveva avvertito la madre che quel bambino, da adulto, avrebbe incontrato dei problemi col mondo. Troppo rapido a capire e ad agire, aveva sentenziato la suora, una donna minutissima e dal volto affilato, cosparso di rughe scalpellate da anni di preghiere assorte e violente, che si era invaghita di quel bambino curioso e scelleratamente vivace, incapace di associare i suoi ritmi a quelli degli altri, così inesorabilmente più lenti. Ma il modo in cui ti arriva una storia dipende anche da questo, da quanto sia stato veloce, nella vita, il tuo oracolo. Sapete, ciò che vediamo, ogni minutissimo istante, è filtrato dalla nostra misura, dal nostro metronomo interno. Quanti punti ci sono, in un segmento di retta? Infiniti. E ad accettarlo, questo, ci sono voluti millenni. perché anche molti dei migliori erano incapaci di accettare l’incapacità di poterli contare. Così nello scrivere questa storia ho dovuto adeguarmi a quello che mi veniva detto, e troverete linguaggi diversi, perché così vanno le cose, esse fluiscono ma i modi in cui ci vengono addosso non sono mai uguali e se vogliamo essere aperti a quanto ci comunicano dobbiamo trascriverle o dirle così come esse sono, e non come vorremmo che esse siano. E poi, lasciatemelo dire, che insormontabile difficoltà ho dovuto affrontare nel trascrivere della squadra, su Spillo, Slice, Bunker, Punk, Slash…i loro linguaggi, pensieri, questi ragazzi erano menti autocoscienti o…cos’altro? Ho tentato, come ho potuto, di farli parlare come veramente essi parlavano, e così per i loro pensieri. Un conglomerato di simboli e gesti, ecco cos’erano i ragazzi della squadra di Rudy. Davanti, o dovrei dire tutt’intorno, l’indicibile imponenza di un edificio che voleva fare del male. O forse no.
LO SCRITTORE, estratto da Condèmoni
Marzo 3, 2014 | 0 commenti