Eravamo sulla costa del Venezuela, alla ricerca di posti veri, non turistici. Ci imbattiamo nel tipo della foto, un pescatore, che dalla faccia e tutto il resto sembrava proprio uno che la sapesse lunga. L’avrei minimo scritturato per un film, fossi stato un regista. Gli chiediamo, ma dov’è che possiamo trovare il vero Venezuela, qui sulla costa? Eravamo di ritorno dai Tepuy, qualunque insegna commerciale ci faceva schifo. Allora il tipo ci ragiona su, e ci fa saltare sulla sua barca, vaghiamo in mezzo a delle isole vicino alla costa, passiamo anche vicino ad una raffineria e la poesia mi rotola via immediatamente, poi dopo una curva sembra di nuovo giungla su mare, finchè arriviamo su un’isola, dove in posizione precarissima c’è una capanna, infossata sulle rocce, mare sotto piuttosto inquietante. Zero spiagge, siamo saltati dalla barca sugli scogli, l’isola sembrava disabitata. Il tipo ci fa, con quel sorriso lì da schiaffi, torno domani sera, seguro eh, gli dice Pitax, comunque sbarchiamo.
Saliamo alla capanna, mica facile, sentiero zero, esce un tipo che non fotografammo ( lo so, stupidi ), ci vede, fa una smorfia che era un sorriso ma di quelli non so come dire originali, e si mette a parlare. Pitax era il nostro speaker spagnolo, nel senso che sapeva cento parole e cento verbi, a tutto il resto attaccava la s. Nos otros venimos da Italias, donde sta atras gentes ? cose così. Il tipo si mette a parlare che la smetterà soltanto 36 ore dopo, ininterrottamente. Lui e Pitax. Io e Grego, esausti, perlustriamo a fatica l’isola, torniamo e il tipo su brace fuori dalla capanna ci arrostisce del pesce che non vi dico, poi parte la notte in cui il tipo continua a blaterare fra un pò di sonno e l’altro, anche Pitax tentenna un pò, comunque la mattina prende una bagnarola e ci porta in giro, pesca, lui e Pitax continuano a parlare e parlare, Pitax ci dice che non capisce assolutamente nulla, niente di niente, risponde per cortesia, gli dice della politica italiana e chissà quello cosa risponde, della DC che sta crollando e quell’altro parla del suo, e così via. Mai sentite tante altre s in vita mia. Alla fine ce ne andiamo perchè viene a riprenderci il tipo della foto, che almeno si capiva. Ci dice che quello era un eremita, se n’era andato via dal villaggio sulla costa anni e anni prima, e che lui sapesse noi eravamo i primi ad aver speso una notte lì. Gli altri pescatori ogni tanto passavano vicino all’isola e salutavano con la mano, e morta lì. Un pò perplessi saltiamo su un pullman che arriva a Caracas a mezzanotte esatte. Caracas allora era la città più violenta del mondo, 50 omicidi a notte garantiti ( avete letto bene), un paio di scarpe nuove e ti tagliavano la gola, sbarre ai market e ordinavi da dietro le sbarre, sbarre tipo San Vittore fino al terzo piano, vi giuro che era proprio così. Arriviamo nella piazza dei pullman, siamo noi tre, punto. L’autista ci fa, non andate in giro, trovate subito un taxi e fatevi portare vicino al centro, e fila via con la faccia di uno che l’ha scampata. Siamo tre italiani con degli stracci addosso ma tre zaini, tutto buio, passa una macchina, la blocchiamo tipo film, l’autista è terrorizzato ma gli sventoliamo dieci dollari, che là erano una fortuna, e gli diciamo downtown, dove dormiremo un pò così, più che altro passeremo la notte, e devo dire che ripensai all’eremita e qualche ragione gliela diedi, della scelta. Magari non tutte, eh, ma qualcuna sì
L’EREMITA
Febbraio 7, 2015 | 0 commenti