“E se guidando fosse sembrato lento come risultava da quella prospettiva? Sarebbe stato come cercare di correre sott’acqua. Tutto stava nella prospettiva, nel filtraggio, nella scelta degli oggetti della percezione.”
Che cos’è, il grande scrittore?
Non CHI è, che cos’è.
E’ uno che capisce la realtà, e te la presenta travestita da una trama? E’ una persona dotata di sensibilità eccezionale, e che si rifiuta di sottometterla alle esigenze della vendita? E’ cuore e intelligenza che si alleano e non si preoccupano di far ridere o piangere, eppure questo ti fanno fare, persino a poche pagine di distanza?
Primo capitolo, cortissimo, pag. 3 e 4. Non si sapeva come farlo iniziare, questo romanzo incompiuto, e hanno scelto le poche righe perfette di una descrizione di un campo. Il dubbio che Mc Carthy si fosse dimenticato di inserirle in Suttree è molto, molto forte.
Ma DFW è anche, incidentalmente, uno che ti faceva vedere gli uomini così, “uomini panciuti e maculati in pesanti abiti marrone e ruggine con le valigette ordinate dai cataloghi che distribuiscono in aereo. Uomini dalle facce morbide che si adattavano al loro lavoro come salsicce all’involucro di carne”
Uno che notava “l’impazienza vitrea degli uomini d’affari che stanno molto più vicini agli estranei di quanto vorrebbero, i petti e le schiene che si sfiorano, i porta abiti buttati in spalla, le ventiquattrore che si urtano, più cuoio capelluto che capelli, respirando gli uni e gli altri”.
Il re pallido non è un romanzo, e non c’è la minima idea di come l’avrebbe pubblicato il suo creatore. Si è deciso di mettere insieme capitoli quasi definitivi e abbozzi forse da cestinare, presentando alcuni dei racconti più micidiali che io abbia mai letto ( capitolo 6: mi inchino, David. Capitolo 8, allora non l’avevi terminata, la raccolta di “la ragazza dai capelli strani”), profusione di stile e di talento associata a frasi che tagliano come lame (“ma immagino che anche certi rimpianti rientrino nella norma”)
Wallace sa di essere anche un grande umorista (“chi non avesse mai visto il sole sorgere nel Midwest rurale sappia che è delicato e romantico come una luce accesa di botto in una stanza buia. Questo perchè la terra è così piatta che non c’è niente a ostruire o rendere graduale la comparsa del sole. Di punto in bianco è lì. La temperature sale di dieci gradi; le zanzare si dileguano dirigendosi dovunque le zanzare vadano a rifare gruppo”), di sapere descrivere un episodio come nessun altro (“pag. 544, ultime 9 righe. Dieci e lode), di avere una capacità mai vista o letta di farti vedere un individuo uscire dalle pagine e viverti davanti (“Una sua particolarità è che è identico a se stesso, per partecipazione e comportamento, sta sulle sue come quando è in un gruppo numeroso. Se emettesse un suono sarebbe una singola nota lunga di diapason o la linea piatta di un elettrocardiogramma anziché una cosa che varia”).
Sapeva anche, David Foster Wallace, che la più straordinaria trama della letteratura contemporanea lui l’aveva già scritta, ed era quella gigantesca, costruita a mò di iperbole, di Infinite Jest; il Re Pallido poteva battere Infinite Jest grazie agli esercizi di stile e riflessione perpetrati in più racconti, e nel coraggio di affrontare senza mezzi termini la più grande truffa della ricca società capitalistica, quella di farti vivere una vita appagante. Perchè la noia ( Capitolo 44, due paginette: da leggere, stampare, attaccare ovunque) del terzo millennio non ha nulla a che vedere con quella temuta e raccontata da Sartre, si è camuffata, si è fatta elegante, sofisticata, è venduta nelle corsie dei supermercati e nei corridoi degli uffici moderni.
Wallace avrebbe mantenuto le pagine a circa 2/3 di quanto è stato pubblicato? Niente di memorabile, e sono un centinaio. Ti spezzano il ritmo, l’ansia di leggere, il godimento di avere a che fare con un genio ( come è fantastico riconoscere la grandezza altrui, dirti, tu non sarai mai capace e non saresti mai stato capace di scrivere così), insinuano il dubbio che ti devi accontentare delle meraviglie già incontrate.
E invece dal capitolo 35 ripartono i fuochi d’artificio, personaggi memorabili ( il bambino feroce…), inquietudini, pagine da farti ridere sguaiato alternate a righe di una tristezza interiore di cui non si vede fine.
La sensazione personale è che il romanzo fosse veramente non oltre la metà. Ma questa raccolta basta e avanza per rimanere fiocinati ( diciamocelo: in tantissimi momenti Wallace descrive per filo e per segno molti tratti di quello che sei), per salire su una metropolitana e far partire le rotelle per pensar ben bene a quello che STAI facendo ( la consapevolezza…), per leggere giornali e guardare la TV non rimanendo inebetiti ad assorbire tutto, e per avere il personalissimo eterno rimpianto di non poter più leggere frasi come questa:
“L’unica cosa che qualcuno avrebbe potuto notare di lei in un negozio o facendo la fila era un’aria assente vaga e contagiosa, un tipo di distacco che non era il distacco della pace o di un rapporto personale con Nostro Signore Gesù Cristo. Che lei si pulì con cura sul bavero sinistro del soprabito color crema, premendo abbastanza da dargli una certa lunghezza ma non abbastanza da comprometterne l’adesione o da alterare il torroncino centrale. Un suo scialbore plastificato che ricordava l’aria condizionata, il cibo degli aerei, i suoni transistorizzati”
E i romanzucoli scritti in fretta e furia per riempire l’oretta di relax, aggiungo io.
IL RE PALLIDO, di D.F. Wallace
Marzo 3, 2014 | 0 commenti