E’ un racconto lungo che ho terminato a Novembre. Con un font 14 oggigiorno sarebbe perfino un romanzo breve…
Ecco l’inizio
Le foglie avevano cosparso il pontile come se qualcuno avesse sperato di costruire un parquet
fragile e secco, all’apparenza prezioso anche se costruito su scarti e roba morente. Gli alberi si erano
fatti freddi come se fossero stati lasciati al loro destino, e le loro forme erano così indecise che
anche il sole si era deposto forse ritenendo che per quel giorno non c’era più nulla da fare. Il
bambino si era arrestato davanti alla fila di tre cigni che come guardie importanti si erano disposti in
obliquo alle impercettibili onde, austeri come solo dei cigni possono esserlo e come nessun uomo
sarebbe capace di fare senza sfiorare il ridicolo.
E’ bello qui, aveva detto il bambino. Ma è troppo scuro, aveva sussurrato.
Cosa è scuro, Sasha?
L’acqua. Non si vede cosa c’è sotto.
Il sole è basso, vedi? E allora non illumina il fondo.
Il sole rimbalza?
Rimbalza?
Il bambino strinse meglio le dita della madre, alla ricerca di una frase compiuta. Non riesce a far
luce sul fondo perchè rimbalza?
Che poeta, commentò la mamma. Sorrise. Vieni, andiamo a vedere più da vicino, gli disse. Aveva
pensato che quel posto sarebbe stato una bella premessa, ma non ne era più tanto sicura. Arrivarono
al pontile che si reggeva su dei pali vestiti da molle di ferro. Il bambino volle farsi vicino ad uno di
essi, e dalla sua altezza il cielo si era come appoggiato alla molla, e questa doveva fare molta fatica
perchè nello sforzo aveva impegnato anche le luci lontane, ora indecise fra l’essere macchia o farsi
nascoste. E’ bello ma ho paura, aveva detto. Sopra un palo era appoggiato un lucchetto, qualcuno si
era dimenticato di chiuderlo, e lei aveva detto, hanno lasciato aperto tutto ciò che mal si vedeva,
sfocato, e il bambino aveva capito che il mondo, là dietro, libero e tremulo, era davvero più grande
di lui. Non sarebbe riuscito a dirlo così, ma l’aveva pensato, e aveva avuto paura. Poi aveva visto la
barca con l’uomo, dunque c’era un uomo sul lago, o qualcosa di simile perchè era un tutt’uno col
tronco che aveva tagliato da poco, sì, la barca era un tronco scavato, e non si capiva se a guidare
fosse quel legno o quell’uomo, e forse anche il sole aveva dei dubbi, perchè si era spalmato nel cielo
come ad allargare la vista.
Mise il bambino sulla panchina di legno, in piedi, i piedini così piccoli che sarebbero affondati tra le
traversine orizzontali se non lo avesse sostenuto con le mani e con lo sguardo. Il bambino tendeva
sempre ad accasciarsi, lo sterno infossato inadatto a posizioni erette e complicate. E’ troppo molle,
le avevano detto quelli della ginnastica, e allora aveva provato con il calcio poco prima che fosse
successo.
Ho freddo, disse il bambino. Sembrava dovesse afflosciarsi da un momento all’altro, lo scheletro
privo di qualsiasi capacità di sostegno. Era così magro che la cassa toracica sembrava uno
strumento musicale senza custodia. Lei gli sorrise come se si aspettasse questa domanda. Bugiardo,
c’è così caldo, qui dentro. Mi dici le bugie, eh? Gli sorrise soffocando un moto di altro. Anche il
bambino sorrise, allora. Scherzetto, le disse.
La mamma armeggiò con i vestiti, tutti di taglia piccolissima, era sempre un problema vestirlo in
modo da riempire magliette e pantaloni. Aveva pensato che in qualche modo lui desiderasse sparire
o annebbiarsi, e che dentro delle stoffe questa fuga gli si addiceva come un tronco cavo ad un
piccolo animale del sottobosco. I vestiti le impacciarono movimenti e pensieri, mentre da qualche
parte del cuore si ammassavano fiotti di tumulto.
Ecco qua, gli disse. Le spalle uscirono allo scoperto ed erano piegate sulle quattro direzioni, come
se il busto fosse in penitenza continua e la testa del bambino non avesse diritto alle grucce di tutti.
Un po’ di pazienza, eh?
Impiegò un po’ di tempo a infilargli il costumino, appena comprato. Il suo corpo era così magro che
la luce artificiale lo incontrava per caso, e il bambino era poco più che una diffrazione. Lo stava
guardando, il volto esangue ricordava vagamente la forma di una matita appena appuntita. C’erano
due fessure che si sarebbero dette occhi se soltanto fossero state più vive e brillanti. Gli occhi di un
bambino sono abituati a ridere al mondo, perchè quelli di suo figlio erano caduchi e come
appoggiati in due vuoti?
1Ma l’acqua sarà come quella del lago?
Lei rise. Ma no, qui è calda e trasparente.
Se è come quella del lago non ci entro, disse il bambino.
Il paesaggio sarà meno bello, ma l’acqua brillante e accogliente, gli disse.
Tre giorni prima, quando erano andati a camminare tra i canneti del lago appena fuori città, la
bruma si era allontanata al tramonto, e lei aveva camminato fra i pensieri piuttosto che nel fango e
nell’umido. Poi si era bloccata davanti a un tubo spezzato, o forse una vecchia transenna, che aveva
ormai terminato di aderire al suo scopo, così che adesso poteva raggiungere l’acqua passandoci in
mezzo, senza aggirarla, con il sole sfocato e morente che tentava una pallida macchia per dirle
qualcosa. Come se la vecchia transenna avesse dovuto difendere il sole, e quest’ultimo fosse ormai
arreso come se non ci fosse più nulla da fare. E lì aveva deciso. Di provare col nuoto (lo sport più
completo, signora) e lei non avrebbe saputo bene cosa fosse o non fosse completo, in un bambino,
ma in una famiglia sfrondata una cosa anche parzialmente completa avrebbe potuto riempire.
Ti sta bene, gli disse.
Mamma, ma tu non entri con me?
Eh no, gli rispose. Ci sarà l’istruttrice.
Ma tu non sai nuotare?
Mica tanto, gli sorrise.
E se non so nuotare anch’io.
E se non sapessi, lo corresse.
Il bambino si corrucciò per la nota negativa. Non ho mai provato a nuotare, disse. E non voglio
affondare.