Ci dice, di là non va nessuno, se vi va. In qualche ora si arriva in Guatemala. Ci strizza l’occhio. Ci passo io quando devo andare in Guatemala, che non ci potrei. Abbiamo appena incontrato quell’italiano ricercato in 5 stati per cose varie, che conosce quella zona come le sue tasche, per forza, ci si è rifugiato. Siamo in Messico, non lontano dal Guatemala. Quanto lontano? fai due giorni, ci fa. Partiamo. Strada nella giungla, facciamo qualche ora, buche sedimentate, e il fuoristrada si scassa. Il tipo non ne viene a capo e Grego gli trova il problema. irrisolvibile. Passano un paio d’ore, parolacce varie, lui ci fa, qui passa l’autobus. L’autobus qua??? Pitax lo sta per sgozzare dal nervoso, quando arriva una cosa che Sergio Leone avrebbe rifiutato per qualunque film ma che lì c’era, ed era uno strano solido con buchi che un tempo erano finestrini, rumore alla Slayer e velocità mai superiore ai 20 km/h. Sono gli autobus di terza categoria, ci fa il fuggiasco. Non hanno orari, ma vanno dappertutto, servono i villaggi nella giungla. Non ci credo ma lo vedo, mi dico. E ci saliamo. Sembra di essere in Apocalypse now, la giungla è così. Arriviamo ad un villaggio con una collina di lattine di pepsi vuote accatastate, dieci capanne, trenta locals. Proseguiamo. Arriviamo ad un altro villaggio, confine. C’è un fiume, di qua Mexico, di là Guatemala. Un tizio non abituato a vedere turisti ci timbra i passaporti, ma sarà valido? Il fuggiasco ci fa salire su una chiatta, e arriviamo dall’altra parte. Villaggio, un ventina di ragazzini e bambini giocano con pallone di pezza fra le capanne. Siamo in Guatemala, che fra parentesi è in guerra civile ma, avevamo letto in Italia, se stavi lontano dagli epicentri ci potevi anche andare. Come kaiser ce ne andiamo via da qua? Il fuggiasco prende Grego e scompare, passano due ore e Pitax è nervoso, tornano su una ruspa (!!) che compare al margine del villaggio, Grego fa, arriva verso sera una jeep che va verso la civiltà. Va beh. C’è dell’acqua, ci laviamo? Grego, che a filosofia era superiore a Platone in quelle situazioni, osserva che ci mancano ancora almeno due giorni di giungla, che ci laviamo a fare? Sono cinque giorni che con 30 gradi minimi e umidità al 100% eroghiamo una sudorazione da combattimento, ma Pitax dice, forse però così teniamo davvero lontano gli insetti. Lì per lì non trovo una replica fondata e quindi quando saliamo sulla jeep siamo come prima, avvicinabili solo a noi stessi. facciamo 200 metri e vediamo la cosa più sconvolgente, o quasi, della mia vita: i bambini-ragazzini con divisa pseudo-militare appostati come in un film nella giungla e erba alta, con fucili. Ma che fanno? La jeep procede lenta, e dopo un paio di minuti altri ragazzini, pare un pò più grandi e vestiti più alla w il parroco, ma questa volta guardano alle nostre spalle, sempre con fucii. Guerra, ci fa il fuggiasco. Guerra? C’è la guerra civile, ci fa. Lo sappiamo, saputello, ma non c’è un maggiorenne nelle due fila. Proseguiamo. Parte il padre di tutti i monsoni, anche se nel centroamerica si chiamano diversi, ma insomma avete capito. Noi siamo seduti sul retro, senza copertura. con gli zaini. Ore notturne così. Ad un certo punto, ve lo giuro quanto le labbra della Moric sono gonfiate da silicone, sento russare, in mezzo a quel diluvio. E’ Grego, seduto, jeep che ogni metro salta di mezzo per buche, diluvio, che russa! Grande Grego, che ci aveva confidato, a me nella vita basta una donna che la sera mi sposta le pantofole quando devo andare a letto, il sonno è tutto. Comunque arriviamo in piena notte a un fiume, e di là delle luci. Quella è Sayaxè, dove arriva il turismo. Ok, fenomeno, ma noi siamo di qua. Il fuggiasco allarga le braccia, e Pitax scompare. Torna con un ragazzino trovato ad una capanna, gli ha sventolato cinque dollari e quello, con fare circospetto, ci dice di seguirlo. Smette di piovere, ci fa salire su una specie di piroga. E’ chiaro che non è sua, ed è chiaro che non la sa guidare, ed è chiaro che non sapevamo che il giorno dopo avremmo fotografato alligatori a destra e manca, comunque sono tipo le due di notte quando arriviamo di là. Sembrano case insieme a capanne, qualcosa in effetti di più turistico. Becchiamo uno, Desculpe, nos otros volemos dormir. Impossibile, nel fango altissimo, buttare per terra dei sacchi a pelo. Solito biglietto da 5, e quello ci porta in una bettola da pirati. Entriamo, una cosa grossa come una mano sul muro, ebbene sì, datemi un run out di dieci metri e magari ve lo faccio, su una parete di roccia, ma ho un terrore fottuto degli insetti. Ci porta ad una camera, la chiamo così, ok? Entriamo, e un biologo, da quello che c’è sulle pareti e sul letto, avrebbe esclamato, qui ci faccio la tesi. Ci infiliamo con neppure il naso fuori nei sacchi a pelo, tremo dalla paura che quei cosi apprezzino il mio giaciglio. Grego, serafico, commenta: speriamo che l’idea di non lavarsi funzioni.
L’ho scritto di getto, as usual, e mi rendo conto che pare esagerato, ma casomai mi mancano dei pezzi che non ricordo, era così.
GUATEMALA
Febbraio 1, 2015 | 0 commenti