Fabio Palma

Infinite jest

CONTRO IL GIORNO, T. Pynchon

| 0 commenti

Scellerato, esagerato, schizofrenico.
Pynchon sceglie l’inverosimile per spiegare più punti di vista del simile e del vero, approfittando del gran caos politico e sociale degli anni che precedettero la prima guerra mondiale e la formazione degli Stati Uniti d’America. Non si azzarda a inserire il Far East e il Giappone, nel calderone geopolitico in cui innesta la saga dei Traverse e i suoi derivati, ma per il resto ci dà dentro per costringere il lettore a ripassare un bel pò di storia, di matematica, di fisica.
Gli idealisti? Uccisi, come Webb Traverse, o messi in disparte, come Tesla. La terza via moralmente accettabile è quella dell’investigatore Lew Basnight, unico personaggio un pò stereotipato, e dedito al compromesso quasi italico, o quella campata fra le nuvole di Miles Rideeout, che però si prende una bella rivincita su la scienza esatta arrivando più in là di tutti nel’uso del tempo e dei suoi misteri.
Con l’avvertenza di copiare il grande Cormac in Meridiano di sangue ( ad inizio di ogni capitolo, tre righe a matita con il riassunto del capitolo medesimo. Credetemi, aiuterà…), un romanzo che destabilizza il lettore costringendolo a riflettere, criticare, alzarsi in piedi e protestare. Pynchon non è un Maestro della parola come un Wallace o un Mc Carthy, ma nei dialoghi è insuperabile. Non ce n’è uno realmente replicabile, eppure tutti funzionano. I personaggi parlano come in dei fumetti, le cose accadono per coincidenze o irragonevolezze. D’altronde, c’è ragione nel macello politico che sta contaminando Europa e Nuovo continente? No, e allora perchè i singoli dovrebbero essere bravi, sapienti, credibili? L’allegra brigata dei compari del Caso, preposta a vegliare sul mondo, cerca di fare quello che può, ma anche loro hanno le loro gatte da pelare, con gli sconfinanti. Le scienze pure trovano il modo di diventare focolaio di risse, spionaggio e amoralità, e appena la matematica e la fisica tentano di spiegare razionalmente il vecchio quesito di “Dove sono e dove sto andando”, scoppia un vero e gigantesco casino.
La città ideale? Sotto la sabbia, da cercare tutta la vita, e senza speranza.
La realtà? visibile solo con il purissimo Spato d’Islanda, ma tagliato in dodici facce. Ovvero, industrialmente irriproducibile.
La convivenza? Perfino a due è pura follia etica, a meno che non ci si affidi all’integrale di una fotografia, come alla fine succede a Kit Traverse.
Se volete un libro da leggere mezz’ora al giorno, lasciate perdere.
Se volete un libro da farvi battere i pugni sul tavolo, questo è quello giusto.
P.S. Nota di colore.
Nelle ultime cento pagine compaiono 4 refusi e addirittura uno scambio di persona. Traduttore e correttori di bozze, verso la fine, erano esausti quanto i lettori…

Lascia un commento