fanno parte di un capitolo, ma pubblico soltanto brani sparsi
Andrea era una donna con una bocca grande e labbra carnose e rosa come pompelmi maturi, alta e affusolata, le ginocchia lievemente a x e le caviglie salde e robuste. Slash confrontò il suo abbigliamento (suo di lui) con il suo abbigliamento, perchè da quando aveva scoperto il nome della donna non poteva fare a meno di mettersi sul piattino sinistro di una bilancia immaginaria e vedere cosa succedeva al confronto. La donna era ben poco interessata ai giudizi altrui, pensò, ma certo più di lui, perchè comunque le gambe si vedevano dal ginocchio in giù e quelle caviglie, esposte all’aria perchè scoperte da scarpe basse di fattura trascurabile, un certo languorino sensuale erano capaci di dettarlo. Poi però il naso aquilino e la sagoma scavata e curva, che lui ebbe il tempo di memorizzare quando entrò al quinto portone (numero civico 5 di via Sabotino) arrotavano ogni focolaio di sospiri languidi, e Slash pensò che una felpa più abbondante avrebbe costituito un tampone utile alla desistenza della curiosità. D’altronde, continuò a divagare coi pensieri, c’è forse donna, là dentro, che potrebbe essere interessata ad uno sguardo languido? (…)
Comunque la donna era sotto osservazione da un paio di settimane perché Rudy aveva la sensazione che vivesse sola (come l’aveva ricavata, quella sensazione, proprio lui non riusciva ad arrivarci), e questa discontinuità, sempre secondo il capo, un certo significato avrebbe potuto averlo, come tutte le discontinuità di questa vita.
A dir la verità lui, Slash, non si ricordava grossi sbalzi nella sua, di vita, ma comunque. Era un dato di fatto, aveva detto il capo. Erano lezioni fa, quando l’aveva detto, ed erano lezioni che più o meno si capivano. Persone e come descritte con funzioni, la così detta analisi, le derivate, la vita come una curva con tendenze-pendenze e anse-stati d’animo. Ci stava. Bello anche il fatto che le derivate stesse fossero funzioni, e che dalla derivata non si potesse risalire alla funzione di partenza, un po’ come dire che se vedi una persona entusiasta e allegra non puoi assolutamente dedurre e tanto meno avere delle supposizioni che quella persona sia felice dentro o serena o insomma in pace con se stessa (come se la felicità o la serenità dessero pace, poi. Slash era assolutamente in pace con se stesso ma la felicità non sapeva neppure da che parte sillabarla. Ma stiamo divagando). Le ultime lezioni erano state invece estenuanti, complicate. Colpa della meccanica quantistica, aveva spiegato il capo. Un casino. Era venuto fuori che non era per niente vero che la realtà era una e una sola e bastava un’equazione a spiegarla e a disegnarla. Altro che studio di funzione, vedi una cosa e la descrivi, punto. Era stata un’illusione, e a questo punto lui e gli altri ragazzi avevano annuito tutti senza nessun principio di perplessità. Diamine, era la loro stessa vita a dimostrare che non c’era proprio niente di oggettivo. Che ogni volta che finivi in mezzo a un pezzo di mondo, quello ne veniva perturbato. Era da quando l’avevano sbattuto fori dalla scuola che l’aveva capito, questo.
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